La basilica di San Bartolomeo all’Isola ha oltre mille anni. Sorge a Roma, sull’Isola Tiberina, luogo di importanza tutta particolare per la storia di Roma, a metà tra Trastevere, rione della prima predicazione cristiana, e l’antico quartiere ebraico. Questa posizione in mezzo al Tevere, luogo chiave per l’attraversamento del fiume, esprime bene uno degli aspetti più caratteristici di questa basilica, che raccoglie memorie legate a mondi diversi e lontani, uniti insieme in una unica e originale sintesi di fede, arte e storia.
La basilica venne costruita in un luogo di pellegrinaggio già conosciuto: da secoli, infatti, sull’Isola Tiberina esisteva un tempio dedicato ad Esculapio, ed erano numerosi coloro che visitavano il luogo sacro per implorare la propria guarigione. Nel 998 l’imperatore tedesco Ottone III edificò la chiesa per accogliere i resti di due martiri: San Bartolomeo apostolo, il cui corpo è custodito nell’altare maggiore, e Sant’Adalberto, vescovo di Praga, che fu ucciso nel 997 mentre evangelizzava popolazioni pagane all’estremo confine settentrionale dell’Europa cristiana.
La nuova costruzione operò una trasformazione nel tessuto dell’Isola Tiberina, espressiva di quel cambiamento generale avvenuto nella città di Roma in seguito alla diffusione del cristianesimo. Il pozzo presente nella basilica, caso molto raro, è un esempio di questo processo: esso probabilmente risale all’epoca romana e le sue acque erano ritenute taumaturgiche. I cristiani hanno saputo conservare e valorizzare quella tradizione: il pozzo è divenuto un simbolo evangelico. Nella antica vera di marmo che lo sovrasta, infatti, vi è un’immagine centrale di Gesù che suggerisce a chi la guarda l’associazione con le parole riportate dal Vangelo di Giovanni: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv, 7,38).