Reliquia di San Pedro Poveda, sacerdote spagnolo ucciso a Madrid il 28 luglio 1936

 

San Pedro Poveda, presbitero, fondatore dell’Istituzione Teresiana, martire, fu proclamato santo il 4 maggio 2003.

Nacque a Linares (Jaén, Spagna) il 3 dicembre 1874 e fu battezzato una settimana dopo. Ricevette un’educazione profondamente cristiana e aperta alle diverse correnti di pensiero. Dalla sua infanzia si sentì attratto dal sacerdozio e ai 15 anni ingessò nel Seminario di Jaén. Continuò i suoi studi a Guadix (Granada), dove ricevette l’ordinazione di Presbitero nel 1897 e dove esercitò diversi compiti ecclesiastici. Dal 1902 lavorò per la promozione umana e cristiana della popolazione emarginata delle grotte che circondano Guadix. Qui, sotto la protezione della Madonna di Grazia, aprì scuole per i bambini e laboratori per gli adulti.

Nel 1906, fu nominato canonico della Basilica di Nostra Signora di Covadonga dove, insieme alla preghiera e allo studio, si occupò della formazione cristiana dei pellegrini. Attento ai problemi del suo tempo, seppe percepire con singolare chiaroveggenza la dimensione sociale dell’educazione e l’incidenza in essa della difficile relazione tra fede e scienza. Disposto a “cominciare con il fare” pubblicò articoli e opuscoli in cui propose con audacia un programma di formazione e coordinamento degli insegnanti cattolici. A partire del 1911 creò Accademie, Centri Pedagogici e riviste, e fondò l’Istituzione Teresiana. Per dare impulso a quest’Opera che cresceva in persone e attività, nel 1913 si trasferì a Jaén, dove fu canonico della Cattedrale, professore del Seminario e delle Scuole di Magistero e fu collaboratore attivo nelle diverse iniziative della città.

Nel 1917 l’Istituzione Teresiana fu riconosciuta civilmente ed ebbe l’approvazione ecclesiastica diocesana come associazione laicale. Nel 1924 ricevette l’approvazione pontificia a perpetuità, come Pia Unione di fedeli, con diverse modalità d’appartenenza. Si poneva sotto la protezione di Santa Teresa di Gesù, proponeva lo stile di vita dei primi cristiani e identificava l’educazione e la cultura come gli ambiti specifici della sua missione. Nominato cappellano della famiglia regia, nel 1921 fissò la sua residenza a Madrid, dove esercitò intensa attività evangelizzatrice e consolidò l’Istituzione Teresiana, che pochi anni dopo giungerà in Cile e in Italia.

Riconosciuto come uomo audace, prudente e di concordia, di provata virtù e di consiglio, con eroica carità, dialogante e profondamente umile, fu di orientamento spirituale per molti, appoggiò opere e collaborò attivamente con l’Azione Cattolica e con diverse associazioni e progetti.

Fu ucciso a Madrid, a causa della fede, all’alba del 28 luglio del 1936. “Sono sacerdote di Cristo”, aveva dichiarato il giorno precedente a coloro che lo conducevano al martirio.

La sua spiritualità, cristocentrica, mariana ed ecclesiale, può sintetizzarsi in un suo scritto del 1915, che orientò tutta la sua vita e attività: “L’Incarnazione bene intesa, la persona di Cristo, la sua natura e la sua vita, a chi le comprende, danno la norma sicura per giungere ad essere santo, della santità più vera, rimanendo nello stesso tempo umano, dell’umanesimo vero”.

Il 20 ottobre del 2008, durante una Liturgia della Parola presieduta dal Cardinale Antonio María Rouco Varela, Arcivescovo di Madrid, è stato consegnato al Santuario dei Martiri della Fede il breviario appartenuto a San Pedro Poveda.

MEDITAZIONE DI SAN PEDRO POVEDA REDATTA IL 14 APRILE 1935

«Imparate da me che sono mite» (Mt 11, 29). Dice il grande Padre sant’ Agostino che nostro Signore non ci ha mai detto di imparare da lui a creare mondi né a fare miracoli, ma il suo ordine categorico e tassativo è stato questo: «Imparate da me ad essere miti».
Benedetta mitezza, benedetta virtù invincibile, come dice san Giovanni Crisostomo. Ciò, detto da lui, che forza ha! Dice san Giovanni Climaco che la mitezza incatena l’inferno, dà la forza per governare la famiglia religiosa, e il sostegno all’obbedienza, è la corona dei santi, la pace della coscienza.
Un altro santo Padre, parlando della mitezza, la chiama: Una certa abilità dello spirito, in virtù della quale siamo equanimi, sia quando ci onorano sia quando ci oltraggiano, che ci dà la forza di pregare per quelli che ci fanno soffrire. La portata della forza del cuore è proporzionale a quella della mitezza, dice un altro santo Padre.
Perché scrivo queste note sulla mitezza? […] Perché ritengo che il momento presente esiga, in modo particolare, l’esercizio di questa virtù. Perché la considero arma decisiva per la vittoria della causa di Dio. Perché le ingiustizie, la ribellione, la confusione, il disprezzo delle cose sante provocano ira e rendono amaro ed aspro lo zelo. Perché, contagiati dal nervosismo attuale, vogliamo il bene, ma ci mettiamo sullo stesso piano di quelli che operano il male, almeno nel modo di procedere. Perché ci dimentichiamo della situazione attuale dei giovani e, a volte, usiamo mezzi controproducenti per guidarli e formarli. Perché desidero che meditiate a fondo su questa virtù e chiediate a nostro Signore di esservi maestro. Io avrei aggiunto ancora un motivo, ma non lo aggiungo sulla carta, lo dico a voce: è il mio desiderio di acquisire la mitezza.
Se preferiamo l’asprezza, la reticenza, la durezza, l’ira, l’impazienza, i modi bruschi, l’insolenza non è perché siamo convinti di fare un bene maggiore al prossimo; è perché in questo modo soddisfacciamo le nostre passioni, l’amor proprio, la superbia; perché questo modo ci risulta più comodo, più facile, più piacevole […]
Non c’è da farsi illusioni: la mitezza, l’affabilità, la dolcezza sono le virtù che conquistano il mondo. Se mi dite che è molto difficile essere così; che l’abito della mitezza costa molto; che dolcezza, soavità e affabilità suppongono una completa vittoria su se stessi, esigono una vigilanza continua ed un sacrificio costante, vi dirò che è vero, che in effetti è così; però niente di tutto ciò è impossibile con la grazia di Dio e la nostra cooperazione…Sapete come hanno trionfato i martiri? Con la dolcezza e la mitezza…Riservate per voi le asprezze e siate con gli altri affabili, buoni, tutto per Dio e per la sua gloria.»


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