Zeferino Jiménez Malla nasce in Spagna nel 1861 e fin da bambino conosce la povertà e la precarietà della vita nomade. Lavora come tessitore di ceste e canestri, che poi vende di villaggio in villaggio. Ha una famiglia numerosa di cui prendersi cura, soprattutto dopo l’allontanamento del padre che ha scelto di vivere con un’altra donna. A 18 anni si sposa (alla maniera gitana) con Teresa Jiménez, non hanno figli ma condividono oltre 40 anni di vita felice insieme. Tutti lo riconoscono come un uomo di grande onestà e autorevolezza, tanto da ricoprire il ruolo di “capo” dei gitani di Barbastro.
Un giorno Zeferino si carica sulle spalle e riporta a casa, incurante del pericolo di contagio, un ricco possidente di Barbastro, malato di tubercolosi, svenuto per strada a causa di uno sbocco di sangue. A seguito di questo atto di generosità la sua vita ha una positiva svolta economica. La famiglia di questi, infatti, lo ricompensa con una forte somma, con la quale intraprende un redditizio commercio di muli che gli fa raggiungere un invidiabile livello di benessere.
Nel commercio e nell’improvvisa agiatezza conserva la sua onestà, non ammettendo frodi neppure dagli altri gitani. Tuttavia un giorno viene incarcerato perché due animali che ha comprato si sono rivelati rubati: elemento più che sufficiente per accusarlo di ricettazione.
La sua origine gitana ed il pregiudizio razziale che fa di ogni zingaro un potenziale disonesto pesano sul suo arresto e sul processo. Assolto per aver dimostrato la sua buona fede e la sua completa estraneità al furto, il Pelé, così veniva amichevolmente chiamato, continua la sua attività commerciale con generosità: soccorre chiunque è nel bisogno ed aiuta i poveri, il più delle volte di nascosto dalla moglie che non condivide questa sua prodigalità. Soprattutto Zefirino è un cristiano convinto, porta sempre con se la corona del rosario, prende parte attiva nelle associazioni religiose, non manca mai l’appuntamento con l’adorazione notturna e la messa e soprattutto da quando, ha regolarizzato la sua posizione con il matrimonio religioso e ha potuto accostarsi ai sacramenti.
La rivoluzione del 1936 che scatena l’odio antireligioso, non riesce a fargli mutare minimamente la sua coraggiosa professione di fede: arrestato nel mese di luglio, perché ha difeso un prete e perché in tasca gli han trovato la corona del rosario, che non posa più, neppure quando amici influenti gli promettono l’immediata scarcerazione se soltanto evita di farsi vedere con la corona in mano, viene fucilato ai primi di agosto, ancora e sempre con il rosario in bella vista, insieme al suo vescovo con il quale è stato beatificato da Giovanni Paolo II nel 1997, che lo ha proclamato Patrono di tutti i Rom del mondo
L’11 giugno 2011, durante una veglia di preghiera a cui hanno preso parte rom e sinti giunti a Roma per partecipare all’udienza del Papa, è stato consegnato al Memoriale dei Martiri un frammento del rosario appartenuto al beato Zeferino.