Il 9 Settembre  è stata consegnata alla Basilica di San Bartolomeo all’Isola, santuario dei Nuovi Martiri,  una lettera del vescovo luterano polacco Juliusz Bursche, inviata ai familiari dal campo di concentramento di Sachsenhausen/Oranienburg, dove era stato internato nel 1939 e successivamente giustiziato, il 20 Febbraio del 1942.

La cerimonia di consegna della lettera da parte dei familiari di Bursche è stata presieduta da mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone, Presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza Episcopale Italiana, accompagnato dal vescovo Frank-Otfried July (Presidente del Comitato Nazionale Tedesco della Federazione Luterana Mondiale), da Jerzy Samiec, vescovo della Chiesa luterana della Polonia, e alla presenza di Karl-Hinrich Manzke, vescovo luterano di  Schaumburg-Lippe.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale venne arrestato dai russi e deportato a Mosca, perché considerato di nazionalità. Poté tornare a Varsavia solo nel 1918. In quell’anno fu eletto parlamentare e partecipò come esperto alla Conferenza di pace di Versailles. Nel primo dopoguerra si spese per radicare la Chiesa Evangelica in Polonia e per il suo riconoscimento giuridico, che fu concesso nel 1937, anno in cui fu eletto primo vescovo della Chiesa. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, pur consapevole del rischio a cui andava incontro, non volle abbandonare la Polonia, e alla fine del 1939 fu arrestato dalle autorità tedesche e trasferito in carcere prima a Berlino, poi a Sachsenhausen, con l’accusa di aver tradito la nazione tedesca e di aver promosso la polonizzazione della Chiesa evangelica da lui guidata.

Le sue ceneri sono state ritrovate nel 2017 in un cimitero di Berlino e traslate nel cimitero evangelico di Varsavia.

Bursche  diceva che “compito della Chiesa è di annunciare il Vangelo, non di annunciare  l’ideologia nazionale tedesca o polacca, nella convinzione  che, in Polonia, fosse necessario edificare una Chiesa luterana leale allo stato e desolidarizzata da idee nazionaliste.

Il vescovo July, ricordando la figura esemplare di Juliusz Bursche a 80 anni dall’inizio della seconda guerra mondiale, ha riconosciuto le sofferenze indicibili causate dalla Germania a partire dall’invasione della Polonia:

Dobbiamo confessare apertamente e sinceramente questa storia di peccato e la responsabilità che ne deriva. Noi luterani tedeschi siamo perciò grati a Dio e ai nostri fratelli polacchi per i passi di riconciliazione, per questa liturgia ecumenica che lega i popoli oltre gli antichi confini. Anche oggi ci sono persecuzioni per la fede o per l’appartenenza ad un gruppo etnico. Ancor oggi vi sono campi profughi in cui le persone vengono stipate miserevolmente. Anche oggi deploriamo il ritorno del nazionalismo e del razzismo

Il vescovo Jerzy Samiec nel suo saluto, riprendendo quanto affermato dal vescovo July nella sua omelia, ha sottolineato l’importanza di questa commemorazione fatta insieme, che approfondisce l’ecumenismo tra le due confessioni: “oggi ci è donato di incontrarci come sorelle e fratelli nella fede. Possiamo parlare del nostro passato in uno spirito di riconciliazione e di amore … Non dovremmo mai essere troppo affrettati nell’affermare di aver perso o di aver vinto”.

 

Omelia del vescovo Frank-Otfried July, Presidente del Comitato Nazionale Tedesco della Federazione Luterana Mondiale

 

Ebrei 10, 32-39

Care sorelle e cari fratelli,

Noi luterani tedeschi da anni siamo legati alla Comunità di Sant’Egidio da un’amicizia, che è cresciuta attraverso numerosi incontri. Per noi è sempre una grande gioia partecipare alla loro preghiera, quando veniamo a Roma. Ed è una circostanza veramente particolare per il Comitato Nazionale Tedesco della Federazione Luterana Mondiale che abbiamo potuto instaurare un contatto con la Chiesa Luterana in Polonia e celebrare insieme oggi la preghiera in memoria del vescovo Juliusz Bursche.

Avete tutti davanti a voi l’immagine posta sull‘altare. Si tratta dell’icona moderna che io conosca che mi ha colpito di più. “Attraverso la grande tribolazione“: queste parole stanno sulla metà superiore dell’icona dei Nuovi Martiri e spiegano l’intera scena. Al di sotto vediamo un campo di concentramento, che diventa come una chiesa, con cristiani, donne e uomini, di tutte le confessioni. Nei campi di concentramento nazisti e nei gulag sovietici hanno sofferto insieme per il Vangelo, hanno pregato insieme e si sono sostenuti l’un l’altro. Così vengono da sinistra e da destra in due grandi processioni i testimoni della fede dell’est e dell’ovest verso il centro, dove è posto il Vangelo aperto, con le parole di Gesù: “Tutti siano una cosa sola“ (Gv 17, 21), mentre la croce e il cero pasquale rimandano alla passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo.

Quando guardiamo a questa immagine, pensiamo anche oggi all’enorme numero di ebrei vittime dei campi di concentramento, ai Sinti e ai Rom, agli omosessuali e ai perseguitati politici. Sappiamo come Martin Lutero e la sua teologia furono  indebitamente utilizzati, specialmente per sacrificare gli ebrei. Coscienti di questo e confessando il nostro peccato, ci riuniamo in questa chiesa volgendo lo sguardo ai martiri di ambo i sessi. E oggi siamo qui, in questa chiesa cattolica dei martiri, per fare memoria del vescovo luterano  Juliusz Bursche. Sono venuto a conoscenza della sua storia in occasione di una visita a Varsavia nel 1990: allora venni anche a sapere che a Varsavia la prima chiesa ad essere distrutta durante i bombardamenti tedeschi del 1939 fu proprio la chiesa luterana della Trinità.

Torniamo ad ascoltare la Lettera agli Ebrei: “Richiamate alla memoria quei primi giorni: dopo aver ricevuto la luce di Cristo, avete dovuto sopportare una lotta grande e penosa, esposti pubblicamente a insulti e persecuzioni” (10,32). Il cristianesimo – anche nella sua parte luterana – è una religione della memoria. La memoria appartiene essenzialmente alla nostra fede. Esodo, croce e resurrezione sono oggetto di questo ricordo che si fa presenza, per esempio in ogni liturgia della Cena che celebriamo. Questo è il primo e il centro. Tuttavia a partire da ciò, anche coloro che hanno sofferto per “la grande tribolazione“ appartengono alla nostra storia di fede e pertanto alla nostra cultura del ricordo. Essi infatti sono testimoni dell’esperienza della croce, della liberazione, della resurrezione.

Perciò la Confessio Augustana, centrale per noi luterani, insieme alla sua Apologia, spiega in maniera assolutamente inequivocabile che a riguardo del culto dei santi vanno aboliti gli abusi dell’epoca, e al contempo dice in maniera chiara e concisa: “La nostra confessione approva il culto dei santi” (Apologia XXI). I santi sono esempi di grazia, per i quali rendere grazie a Dio. I santi possono rafforzare la nostra fede.

Così stabilisce il documento ufficiale del dialogo luterano-cattolico in Germania “Communio Sanctorum”: testimoni fino al sangue sono “quei membri della società che solo per grazia e fede hanno vissuto in maniera esemplare l’amore cristiano e le altre virtù cristiane e la cui testimonianza di vita ha trovato riconoscimento nella Chiesa dopo la loro morte” (§ 229). Per grazia e fede i martiri e le martiri con la loro morte rendono testimonianza e così vengono visti a partire dalla fine della loro via. Pertanto le Chiese non fanno i martiri ma riconoscono successivamente l’effetto della grazia di Dio in loro. Noi volgendo lo sguardo indietro riconosciamo che in ogni tempo, anche nel XX e XXI secolo, ci sono giusti che per fede vivono secondo la volontà di Dio e prendono su di sé insulti e tribolazioni, fino alla morte.

Anche papa Francesco, in occasione della visita a questa chiesa nell’aprile 2017, ha sottolineato il significato della grazia: “Quante volte, in momenti difficili della storia, si è sentito dire: “Oggi la patria ha bisogno di eroi”. Il martire può essere pensato come un eroe, ma la cosa fondamentale del martire è che è stato un “graziato”: è la grazia di Dio, non il coraggio, quello che ci fa martiri”

Guardiamo nuovamente alla lettera agli Ebrei. All’inizio del cap. 12, dopo aver presentato in forma di litania una lunga lista di testimoni della fede, si dice: “Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, deponiamo tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia” (12,1).

San Bartolomeo è un luogo in cui possiamo fare esperienza di questa moltitudine di testimoni: nell’icona dell’altare, ma anche in tutte le commoventi memorie dei martiri moderni, ai quali viene oggi aggiunto il vescovo Bursche. “Richiamate alla memoria quei primi giorni”: così ci esortano. Fate memoria di quelli che hanno sofferto come carcerati, di quelli che hanno sopportato con gioia di essere derubati delle loro sostanze, sapendo di possedere beni migliori e duraturi.

La cultura del ricordo di questa basilica ci richiama anche all’ecumenismo. La confessione di Cristo nelle persecuzioni si è dimostrata un forte impulso all’ecumenismo. Ha reso possibile una nuova comunione, aldilà dei confini confessionali. Pensiamo ai quattro martiri di Lubecca, tre preti cattolici e un parroco evangelico. La loro confessione in tempi difficili li ha raccolti insieme. Quando ancora non c’era ufficialmente il dialogo ecumenico tra cattolici ed evangelici, essi confessarono: “Noi siamo fratelli”. E dalla loro uccisione si pensa a loro sempre insieme. “Dì sempre quattro, non dire mai tre”, è diventato il versetto conduttore della loro memoria ecumenica, che ci richiama all’ecumenismo anche in tempi non così critici.

La Lettera agli Ebrei ci esorta inoltre, in considerazione della moltitudine di testimoni, a deporre il peccato. Proprio noi cristiani e cristiane tedeschi possiamo servirci della memoria dei martiri per prendere coscienza delle nostre colpe e recarle davanti a Dio. A 80 anni dall’attacco dell’esercito tedesco alla Polonia il I Settembre 1939 polacchi e tedeschi hanno ricordato insieme 10 giorni fa l’inizio della seconda guerra mondiale. Allora dal nostro paese è stato causato un dolore indicibile. Il vescovo Bursche in seguito alla sua detenzione nel capo di concentramento di Sachsenhausen ha trovato la morte. Dobbiamo confessare apertamente e sinceramente questa storia di peccato e la responsabilità che ne deriva. Noi luterani tedeschi siamo perciò grati a Dio e ai nostri fratelli polacchi per i passi di riconciliazione, per questa liturgia ecumenica che lega i popoli oltre gli antichi confini. Anche oggi ci sono persecuzioni per la fede o per l’appartenenza ad un gruppo etnico. Ancor oggi vi sono campi profughi in cui le persone vengono stipate miserevolmente. Anche oggi deploriamo il ritorno del nazionalismo e del razzismo.

Fare memoria significa rendere presente e oggi così facendo rendiamo una testimonianza cristiana. La memoria comune approfondisce l’ecumenismo tra le confessioni,come anche quello tra Oriente e occidente. Questo ecumenismo dei martiri ha il suo centro nel Cristo levato in alto, come chiarisce un ulteriore sguardo all’icona sull’altare. Allora spetta alla Lettera agli Ebrei l’ultima parola: “Ricordatevi dei vostri capi che vi hanno annunciato la Parola di Dio. Considerando attentamente l’esito finale della loro vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e per sempre!” (13,7).

Amen

 

Testimonianza del vescovo, Jerzy Samiec, Vescovo della Chiesa Evangelica di Confessione Augustana di Polonia.

Cari amici,

potermi trovare oggi davanti a voi mi riempie di gratitudine – anche perché ci è donato di incontrarci come sorelle e fratelli nella fede. Possiamo parlare del nostro passato in uno spirito di riconciliazione e di amore. Abbiamo la possibilità di pregare insieme in questa basilica così particolare, e possiamo raccontare di esperienze diverse. Gesù Cristo, tuttavia, ci unisce tutti, come è rappresentato in modo così impressionante dall’icona sull’altare.

Siamo giunti qui per questa cerimonia commemorativa del Vescovo Juliusz Bursche, e per la consegna di una delle sue lettere, scritta alla sua famiglia il 15 giugno 1941 dal campo di concentramento Sachsenhausen Oranienburg.

Con le poche parole a lui concesse (i sorveglianti del campo di concentramento permettevano soltanto lettere di non più di 15 righe), voleva trasmettere i suoi saluti ed esprimere i suoi sentimenti. Scrisse che si sarebbe sentito bene, se non avesse avuto nostalgia della famiglia, della sua amata Chiesa con le sue liturgie, e della terra natia. Egli ringraziava Dio per ogni nuova giornata. Si trovava nella prigionia, e la Germania nazista celebrava la sua vittoria. Per il vescovo si trattava, nel modo più assoluto, di una catastrofe.

Assisteva, impotente e addolorato, a come veniva liquidata la Chiesa Evangelica di Confessione Augustana in Polonia, che egli aveva costruito a partire da quando, nel 1918, il paese aveva riottenuto l’indipendenza.

Nonostante la situazione drammatica il Vescovo Bursche conservò la sua speranza e la sua fede.

Non dovremmo mai essere troppo affrettati nell’affermare di aver perso o di aver vinto. Le vie del Signore sono a noi nascoste. Il Signore conosce il nostro futuro e sa bene cosa esso ci porterà. Il Vescovo morì durante la prigionia. Dopo la seconda guerra mondiale la Chiesa Evangelica di Confessione Augustana in Polonia rinacque di nuovo.

Dio è grande e ci conduce sulle sue strade. Affidarci a lui e fidarci di lui ci porterà alla soluzione migliore per noi. Possa questa chiesa così particolare, piena di reliquie dei testimoni della fede, renderci consapevoli del fatto che noi non possediamo qui ed ora una città duratura, ma siamo in pellegrinaggio verso quella futura.

Il Vescovo July, nella sua predica, ha accennato al fatto che la commemorazione fatta insieme approfondisce l’ecumenismo tra le diverse confessioni, così come l’ecumenismo tra l’Oriente e l’Occidente. Spero che anche le sfide che ci stanno davanti approfondiscano questo ecumenismo. Preghiamo per avere forza e fiducia, affinché rimaniamo forti nella fede ed affinché, senza stancarci, rendiamo testimonianza in questo mondo del nostro Signore Gesù Cristo.