Ottobre 1917. Il mondo era entrato al quarto anno della prima guerra mondiale. La Russia era nel mezzo di una bufera rivoluzionaria. L’Impero degli zar era collassato, il 25 ottobre, secondo il calendario russo, con un colpo di mano saliva al potere il partito rivoluzionario marxista dei bolscevichi guidato da Lenin. Nel 1918 prese il nome di partito comunista. Nel 1922 fu fondata l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (Urss). Aveva avuto inizio la vicenda del comunismo internazionale.
La scomparsa della religione dalla società comunista è stata uno dei fini perseguiti dal partito di Lenin. Tale obiettivo è rimasto inalterato fino alla vigilia del crollo dell’Urss nel 1991. In una popolare spiegazione del programma del partito, pubblicata nel 1920, si leggeva: «religione e comunismo sono incompatibili sia in teoria che in pratica».
La Chiesa ortodossa, la più grande confessione religiosa della Russia, fu privata della personalità giuridica nel gennaio del 1918. Fu il segnale d’inizio di una durissima politica persecutoria. Seguì una lunga serie di uccisioni di vescovi, preti, monaci e laici, nel quadro della guerra civile in cui era sfociata la Rivoluzione. Anche la Chiesa cattolica, largamente minoritaria, fu colpita dalla persecuzione. Furono avviate campagne finalizzate alla soppressione del sentimento religioso: per la chiusura dei monasteri e delle chiese, contro il culto delle reliquie, per l’abbattimento delle campane, per la requisizione degli oggetti preziosi appartenenti alla Chiesa, una sistematica propaganda antireligiosa fu condotta tra la popolazione.
Lenin rivelò ai dirigenti del partito, in una lettera del 19 marzo 1922, quali fossero altri obiettivi di queste campagne: «Quanti più esponenti del clero reazionario riusciremo a fucilare per questo motivo, tanto meglio sarà».
Religiosi e fedeli furono processati, alcuni condannati a morte; molti furono arrestati; la polizia politica favorì divisioni nella Chiesa. A essere condotto in prigione e poi messo agli arresti domiciliari fu anche il patriarca della Chiesa russa Tichon, che prima di morire nel 1925 avrebbe detto: la notte sarà lunga e buia buia.
Il momento più cupo della notte ebbe inizio nel 1929. Si apri allora per donne e uomini, cristiani di ogni confessione (ortodossi, cattolici, protestanti, armeni, vecchi credenti) un decennio terribile, che durò fino all’inizio della seconda guerra mondiale nel 1939. Nel vortice delle repressioni ordinate dal leader Sovietico, Stalin, furono risucchiate le vite di centinaia di migliaia di cristiani. Essi per la loro fede furono fucilati dopo processi sommari o vennero rinchiusi nei campi del Gulag, il sistema concentrazionario sovietico. Durante il “grande terrore” del 1937-38 – il picco delle repressioni staliniane – il clero e i membri delle associazioni religiose furono «il primo gruppo a rischio» di arresto e fucilazione.
Nel corso di 74 anni di potere sovietico 500.000 – 1.000.000 cristani ortodossi, 300 vescovi, 50.000 membri del clero morirono uccisi per la propria fede religiosa.
Dopo il 1945 la persecuzione nei confronti dei credenti continuò, anche se in forma attenuata rispetto ai decenni precedenti e a fasi alterne, Ebbe termine solo durante la stagione riformatrice della perestrojka iniziata nel 1985.
Alla fine della seconda guerra mondiale a essere colpiti da dure repressioni furono i cattolici dei territori allora annessi all’Urss, in Lituania e in Lettonia e soprattutto in Ucraina occidentale, dove la Chiesa greco-cattolica ucraina nel 1946 venne soppressa. I suoi vescovi e parte del clero e dei fedeli furono sottoposti alle deportazioni e alla detenzione nei campi, dove molti morirono.
Il modello sovietico di politica religiosa fu di ispirazione ai regimi comunisti che dopo la seconda guerra mondiale si stabilirono nell’Europa centro-orientale e in seguito in Asia (Cina, Corea del Nord, Indocina) e in altre aree del mondo. Tale modello fu adottato nelle varie situazioni con differenze a volte sensibili. Non mancarono persecuzioni e i cristiani furono sottoposti a limitazioni della libertà e repressioni, anche sanguinose.
Un modello radicale di comunismo fu sperimentato in Albania, dove I governanti affermavano di avere realizzato Il primo Stato ateo del mondo. Nel 1967 furono dichiarati illegali i luoghi di culto e fu proibita qualsiasi manifestazione di devozione, fosse anche privata. Nel 1976 la Costituzione proclamò l’ateismo. La persecuzione, complici l’isolamento del paese e il carattere ossessivo del regime, fu qui particolarmente brutale.
Uno dei luoghi di maggiore sofferenza dei cristiani in Unione Sovietica furono le Isole Solovki nel Mar Bianco, a poca distanza dal Circolo Polare Artico. Dal XV secolo questo arcipelago era stato sede di un grande monastero. Nel 1923 il monastero fu trasformato in un «lager a destinazione speciale», il primo campo del gulag.
Le Solovki sono il regno degli infelici, così le descriveva una deportata. Molti cristiani furono condotti alle Solovki, dove scontarono lunghi anni di prigionia e non pochi trovarono la morte. I credenti appartenevano a diverse Chiese.
Un testimone ha ricordato:
«Unendosi nello sforzo lavorano insieme un vescovo cattolico ancora giovane, e un vecchietto emaciato e scarno con la barba bianca, un vescovo ortodosso, antico di giorni ma forte di spirito, che spingeva energicamente il carico… Chi di noi avrà un giorno la ventura di far ritorno nel mondo, dovrà testimoniare quello che vediamo noi qui adesso. E ciò che vediamo è la rinascita della fede pura e autentica del primi cristiani, l’unione delle Chiese nella persona dei Vescovi cattolici e ortodossi che partecipano unanimi nell’impresa, un’unione nell’amore e nell’umiltà».
In questo luogo disumano la vita spirituale fu espressione di resistenza morale e religiosa.
«La baracca è buia, manca l’aria… I corpi sono ammucchiati l’uno sull’altro, c’è sovraffollamento… e nell’anima ho un senso di tremenda solitudine, di impotenza infantile e inesprimibile… Non c’è dove rifugiarsi… Ricordo che un tempo, di notte, quasi senza parole, con un pianto sommesso e silenzioso lo mi aggrappavo alla Sua mano, mi chinavo verso di Lui come verso l’ultimo rifugio, verso l’Unico che è sempre vicino, verso Colui che ama, che conserva in sé il fuoco e il calore di una misericordia e di una tenerezza che non sono di questo mondo… “Se la Tua legge non fosse la mia gioia, sarei perito nella mia miseria”. Queste parole della liturgia ora sono diventate la verità ultima che il cuore può percepire… La vita scorre monotona… l’anima si ottunde, si indurisce per questa immutabile volgarità attorno a noi, per questa barbarie, crudeltà, queste bestemmie e ingiurie. Si può solo pregare… Lui sente ogni sospiro, accoglie ogni lacrima come un sacrificio gradito… L’afflizione, la gioia, La tenerezza, l’immenso senso di colpa, la gratitudine, e un sentimento che nel linguaggio umano non ha nome, soave e straziante fino al dolore… Dio, l’eternità…»
Anatolij Žurakovskij, prete ortodosso di Kiev (fucilato il 3 dicembre 1937), in una lettera dal lager del 30 settembre 1932.
«Si è confuso tutto per sempre,
e non riesco a comprendere
chi è una belva, chi è un uomo, e se attenderò al lungo il supplizio».
Anna Achmatova – Requiem 1935-1940