Dal 15 al 17 settembre 2019 Madrid ha ospitato il tradizionale incontro ”nello Spirito di Assisi” promosso annualmente dalla Comunità di Sant’Egidio. Dal 1986 quando prese parte alla Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace di Assisi, convocata da S. S. Giovanni Paolo II, la comunità ha raccolto l’invito finale del Papa in quello storico incontro: “Continuiamo a diffondere il messaggio della Pace e a vivere lo spirito di Assisi”.
L’incontro di Madrid dal titolo Pace senza frontiere ha visto il coinvolgimento di personalità da oltre 80 paesi del mondo, di tutte le religioni e culture, riuniti per riflettere insieme su vari temi: dall’immigrazione alla povertà, dall’ecologia alla guerra e la violenza diffusa in 27 panels. Tra questi un panel dedicato ai martiri dal titolo: Tra forza e debolezza, i martiri cristiani di oggi e la pace.
Di seguito l’intervento integrale di don Angelo Romano, Rettore della Basilica di San Bartolomeo, Santuario dei nuovi martiri:
Cari amici,
il titolo di questa conferenza ci parla di martiri del nostro tempo tra forza e debolezza, e del legame della loro testimonianza con la pace. Io sono profondamente convinto che sia impossibile ignorare il tema del martirio nel nostro mondo: significherebbe mutilare la fede cristiana di una sua parte essenziale. Come ha detto Papa Francesco in un video messaggio “Forse sembrerà difficile da credere ma oggi ci sono più martiri che nei primi secoli”. Ci sono luoghi dove questo è evidente, penso alle zone della Siria, dell’Iraq, colpite dalle violenze dei terroristi dell’ISIS, ma anche all’Egitto, ai tanti luoghi dove la realtà del martirio è ben presente nell’orizzonte delle comunità cristiane.
Ma c’è un luogo nei quali è possibile avere uno sguardo che cerca di abbracciare tutte le realtà di martirio nel mondo, come in una preghiera geografica. Io sono rettore della Basilica di San Bartolomeo all’Isola, a Roma, che per volere di Giovanni Paolo II è stata affidata alla Comunità di Sant’Egidio e dal 2000 è divenuta “Santuario dei Nuovi martiri”. E’ un santuario ecumenico dei i martiri cristiani del nostro tempo, sempre per scelta di papa Wojtyla, che scriveva: “L’ecumenismo dei santi, dei martiri, è forse il più convincente. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione.” E’ una visione che, nel tempo, ci ha permesso di accogliere a San Bartolomeo memorie e reliquie di cristiani cattolici, ortodossi, evangelici. Come ha detto il vescovo luterano July, la settimana scorsa, in occasione della consegna di una lettera di un martire luterano polacco ucciso in un lager nazista, Bursche, ora esposta a San Bartolomeo: “La memoria comune approfondisce l’ecumenismo tra le confessioni, come anche quello tra l’Oriente e occidente. Questo ecumenismo dei martiri ha il suo centro nel Cristo […]”
All’interno della basilica si può fare come un giro del mondo, passare dal Medio Oriente alle Americhe, dall’Africa all’Europa, pregando mentre si vedono oggetti, lettere, croci, reliquie, appartenute a martiri del XX e XXI secolo, esposti sugli altari. Ve ne sono anche di questa città, come San Pedro Poveda, ucciso il 28 luglio del 1936.
La memoria dei martiri unisce debolezza e forza. Nessun martire avrebbe voluto morire, e la tradizione della Chiesa afferma in modo chiaro che è sbagliato cercare il martirio. Il martire non è un uomo che cerca di morire, è un cristiano che per il suo stile di vita, le sue parole, per quello che materialmente costruisce e fa, diviene oggetto di odio e persecuzione violenta da parte dei persecutori.
Ma c’è una debolezza che diviene forza nei martiri. Lo si vede in molte storie di martiri del nostro tempo. Vorrei ricordarne uno, don Pino Puglisi, il cui anniversario del martirio è stato proprio due giorni fa, il 15 settembre. Puglisi era parroco, a Palermo, in un quartiere dominato completamente dalla mafia, Brancaccio. In quel quartiere non si poteva fare nulla senza il consenso dei criminali. La situazione era molto grave, non c’era una scuola media, non un commissariato, non un centro sanitario. Tutto questo era voluto dai criminali: loro dovevano rimanere l’unica speranza di aiuto per i poveri del quartiere, che doveva restare una zona segnata dalla miseria.
Puglisi era un prete mite, buono, molto disponibile, poverissimo. Io l’ho conosciuto, era sempre disponibile con tutti, aiutava tanta gente, mite: io non l’ho mai visto alzare la voce. Iniziò subito a togliere i bambini dalla strada, perché quei bambini erano il “vivaio” dei futuri mafiosi, erano lasciati da soli ad ammirare i criminali che giravano per il quartiere con grosse motociclette, e con grandi automobili. Puglisi, prima da solo, poi aiutato da altre persone, iniziò a raccogliere i bambini, ad insegnargli a stare insieme senza essere violenti, prevaricatori, falsi. Una volta un bambino ne picchiò un altro, e messo davanti alle sue responsabilità accettò di chiedere scusa al bambino che aveva colpito con un pugno: Puglisi esultò: “Stiamo vincendo!”. La mentalità mafiosa era di prevaricazione, di violenza del forte sul debole. Un bambino che chiedeva perdono ad un altro bambino era l’inizio della rinascita cristiana del quartiere.
I mafiosi tentarono di intimidire Puglisi. Lo picchiarono, gli fecero trovare degli animali morti davanti alla porta di casa, bruciarono un cantiere di restauro della sua poverissima parrocchia, che aveva il tetto cadente. Lui resistette, con la forza dei martiri. Come ha detto papa Francesco, visitando la Basilica di San Bartolomeo all’Isola: “ è la grazia di Dio, non il coraggio, quello che ci fa martiri.” E’ Dio la forza dei martiri, è la sua grazia che permetter loro di affrontare difficoltà enormi.
Lo aveva capito molto bene un altro martire, Giovanni Crisostomo, che commentando il passo del vangelo in cui Gesù invia i discepoli dicendo “Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi (Lc 10, 3)”, affermava:
“Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli. Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di manifestare la sua potenza.“
Puglisi, come altri martiri, scelse di farsi agnello in mezzo ai lupi, confidando nell’aiuto del Signore. Venne ucciso da killer mafiosi, mentre tornava a casa, la sera del 15 settembre 1993. E’ stata una sconfitta? La debolezza ha perso, la forza mafiosa ha vinto?
Papa Francesco è stato a Palermo a settembre dell’anno scorso, nel 25° anniversario della morte di Puglisi, ed io ero lì, tra la gente. Alla messa c’erano almeno 150.000 persone. Tutta la città aveva davanti agli occhi l’esempio di questo prete buono. Il centro per i bambini aperto da Puglisi è in pieno funzionamento, ci sono sempre più bambini che lo frequentano; ho visto i loro disegni dedicati a don Pino: in uno di questi un bambino aveva scritto: “ciao padre Pino,ti scrivo questa lettera perché ti voglio tanto bene, grazie per quello che hai fatto, hai combattuto la mafia, hai levato i bambini dalla strada..io ti ringrazierò sempre”. C’era anche la sua firma. Sarebbe stato impensabile che un bambino scrivesse queste cose in quel quartiere prima del martirio di don Pino.
Don Pino ha posto la sua fiducia in Dio, che ha permesso che il suo sangue desse frutti di pace. Si è fatto debole perché ha scelto di difendere la vita dei deboli, dei piccoli, dei bambini, e di farlo seguendo il Signore Gesù, che ha voluto che il suo lavoro desse dei frutti. Non la violenza, ma l’amore, non la forza delle armi ma quella del perdono e della riconciliazione, divengono sempre più una realtà vissuta da tanti.
Ci sono ancora tanti problemi nel quartiere, è chiaro, ma vorrei dire che l’azione dei martiri smuove la storia nel profondo. Anche se sembrano sconfitti, in loro agisce la forza e la potenza di Dio, il creatore del cielo e della terra, Padre degli afflitti e dei perseguitati. La loro testimonianza cambia la storia.
Lo osservava, in tempi difficili un uomo spirituale, Athenagoras, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, che profeticamente affermava nel 1968, parlando a Olivier Clement della situazione dei cristiani nel mondo sovietico:
”I cristiani russi hanno vinto il totalitarismo nel loro paese. Lo hanno vinto con la loro fede, la loro preghiera, la sofferenza dei confessori e dei martiri; (..) la loro vittoria non la si vede ancora. Molte cose pesanti si attardano alla superficie della storia; ma tutto è già cambiato nel profondo.”
Cari amici,
debolezza e forza dei martiri ci parlano del paradosso della Croce, strumento di morte divenuto simbolo della salvezza, della redenzione dell’uomo, della vittoria sulla morte e sul male. Guardare alle storie dei martiri del nostro tempo significa non solo -come è giusto- riflettere sulle cause politiche e sociali delle persecuzioni, ma anche scoprire quanto il Signore non ha abbandonato la sua Chiesa: al contrario la benedice con la forte e straordinaria ricchezza della inerme testimonianza dei martiri del nostro tempo, capaci di opporsi all’odio con l’amore, al male con il bene. Le loro vite, le loro parole, il loro esempio, nel nostro tempo, smuovono nel profondo la storia, e preparano un futuro di pace.
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