Lo scorso 13 ottobre  il Memoriale dei Nuovi Martiri custodito nella basilica di san Bartolomeo all’isola ha accolto una lettera di padre Martino Nicola Capelli, giovane sacerdote dehoniano ucciso il 1 ottobre del 1944  dalle SS  nell’eccidio di Monte Sole. La lettera deposta dal Superiore generale Padre Carlos Luis Suarez Codorniú vuole essere il segno dell’impegno che padre Martino ha testimoniato nella comunicazione del Vangelo, fedele pastore del suo gregge nel tempo della seconda guerra mondiale.

 

LETTURE
Sal 55
Gv 10,1-21

Omelia di don Francesco Tedeschi
Cari fratelli e sorelle, siamo qui per ricevere una memoria di Padre Martino Capelli, sacerdote del Sacro Cuore, ucciso con don Elia Comini nella canapiera di Pioppe il 1° ottobre 1944 nel martirio delle comunità di Marzabotto, Monte Sole. Siamo grati alla famiglia dehoniana, al Superiore Generale Padre Carlos Luis Suarez Codorniú che ha voluto fare dono alla basilica della lettera della prima professione religiosa di padre Martino. Ringrazio e saluto tutti i dehoniani presenti e tutti gli amici della Comunità di Sant’Egidio che partecipano a questa preghiera, in particolare il suo fondatore, Andrea Riccardi, che tanto ha lavorato perché la memoria dei martiri del nostro tempo non andasse perduta.

Questa preghiera è un pellegrinaggio che ci riporta ai giorni terribili della guerra sull’Appennino emiliano, in quelle comunità martiri di Marzabotto e Monte Sole. In contemporanea, insieme al martirio di Padre Martino, quello di queste comunità, per le quali lui ha dato la vita. Sì, Padre Martino ha speso i suoi ultimi mesi, la sua ultima estate di vita, predicando la Parola di Dio, missionario itinerante tra Salvaro, Veggio, Montorio, Marzabotto, le frazioni più povere e isolate di Monte Sole, come scrive mons. Gherardi “la più povera e la più viva comunità, composta di vecchi, donne, bambini, candidati al martirio”. Un popolo di poveri in una periferia del mondo, dove il mondo stava per arrivare con il suo volto più terribile: quello della guerra. Padre Martino percorre questi paesi, ascolta le persone, i loro drammi, in quel tempo difficile e a tutti annuncia la Parola di Dio, con la predicazione, con la catechesi, compiuta con questo popolo di poveri e il loro bisogno di amore e ci dice il senso più profondo e vero di ogni predicazione, che è mostrare che Dio non ha dimenticato il suo popolo. “Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” dice Gesù (Gv 10, 16). In questa frase del Vangelo ricomprendiamo tutto il senso della missione e del sacrificio di Padre Martino: guardare a queste comunità martiri della guerra, a questo popolo divenuto gregge con il suo pastore proprio grazie alla predicazione della Parola di Dio ci aiuta ad essere anche noi un popolo, a non smarrire per sempre il senso di essere convocati dalla Parola. Siamo popolo perché gregge del suo pascolo, di quel pastore che dà la vita per le sue pecore, perché radunati da una voce che non è quella urlata dell’odio e del disprezzo, dei ladri, dei briganti che entrano per rubare, uccidere e distruggere. Voce che è una seminagione di odio che ha preparato le stragi di Marzabotto e Monte Sole, e tante altre nella guerra.

Padre Martino ha tanto creduto in questa missione della predicazione della Parola di Dio da dedicare i suoi ultimi giorni proprio a questo, incoraggiando, indicando le ragioni del bene e non quelle dell’odio, della vendetta, rendendo il suo ministerio al servizio della gente. Quanto è importante questo ministerio in un tempo segnato dalla guerra, dalla violenza e sempre vuol far tacere ogni parola di umanità? Come è accaduto appena due giorni fa in Siria con l’uccisione di un prete cattolico armeno, Hovsep Petoyan, e di suo padre, Abraham Petoyan. La voce del pastore ci aiuta a essere umani, perché è la voce di chi conosce il valore della vita delle sue pecore, che per lui è guardare come alla sua di vita. Padre Martino in quei giorni terribili ha voluto creare spazi di umanità. Dice Gesù: “ Ho altre pecore che non sono di questo recinto; anche queste io devo guidare” (Gv 10, 16). Sì, la predicazione della Parola è come un recinto di umanità, come si legge nella testimonianza degli ultimi giorni di Padre Martino a Monte Sole, che comincia ad andare nei paesi a cercare la gente. Viviamo in un tempo in cui le parole sono spesso usate per odiare, in cui ancora si usano le parole per dividere, per mettere gli uni contro gli altri. Davanti alla testimonianza di padre Martino riscopriamo il valore delle parole, alla luce della Parola di Dio che deve sempre guidare la nostra vita. Il martirio di Marzabotto e Monte Sole è stato come se preparato da tante parole di male, che hanno seminato odio, rancore, pregiudizi, disprezzo in nome di un’ideologia nazionalista che predicava la superiorità di una razza su altre. In una preghiera alla Vergine prima della morte, padre Martino scrive: “Prega per noi sconfortati e accasciati sotto la tua sventura, divisi tra noi, straziati dagli odi, che trepidiamo pensando ai nostri uomini prigionieri su tutti i lidi della terra”. Padre Martino aveva un senso profondo del tempo che stava vivendo, da quella periferia del mondo in giorni terribili a una preghiera che si allarga al mondo intero attraversato dalla guerra, forza di divisione che separa gli uomini e li mette gli uni contro gli altri. Quei giorni cerca con la Parola di creare legami in un tessuto lacerato, parla con tutti, con i tedeschi, i fascisti, i partigiani, con l’obiettivo di salvare il suo gregge. Quando i superiori gli chiedono di lasciare Monte Sole per rientrare a Bologna ed evitare il pericolo, Padre Martino rimane con il suo gregge perché gli importa delle sue pecore. Questo amore è più forte della paura dei lupi. Ha dato la sua vita per le sue pecore. Rimase con le sue pecore e non salvò se stesso. L’ultima immagine che i testimoni hanno di lui è il suo braccio che si alza per benedire coloro che sono stati uccisi insieme a lui. Nella sua Passione, nel suo entusiasmo di comunicare il Vangelo, andando ovunque per cercare di liberare i prigionieri, a seppellire i morti, Padre Martino preparava l’amore.

E se c’è una preparazione del male, c’è anche una preparazione dell’amore che Padre Martino oggi ci insegna con la sua testimonianza. Per questo oggi sentiamo la responsabilità di custodire la sua memoria, perché la sua testimonianza come quella di tanti in questa Basilica di San Bartolomeo sono una predicazione vivente che ci aiuta a costruire un futuro come loro vorrebbero. La memoria di uomini e donne che a imitazione di Cristo, Buon Pastore, non hanno cercato i propri interessi, ma davanti ai muri della violenza, del potere e della guerra, hanno preferito costituire un gregge, a testimonianza del Vangelo che crea spazi di umanità. La vita di Padre Martino non è persa, ma è donata, offerta, come dice Gesù della sua vita: “Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo” (Gv 10, 18). Questa è la libertà dell’amore, che i martiri di ogni tempo ci insegnano.

 

Da una preghiera per la Vergine scritta da padre Martino nei giorni precedenti le stragi di Monte Sole

Prega per noi sconfortati e accasciati sotto la sventura, divisi tra noi, straziati dagli odi, che trepidiamo pensando ai nostri uomini prigionieri su tutti i lidi della terra. Prevediamo la somma sventura della Patria. Prega per i morti recisi sui campi di battaglia, come il nostro bel grano in giugno, vittime innocenti. A te offriamo le nostre lacrime e il nostro dolore. A te consacriamo il sacrificio supremo dei nostri cari. Per ogni nostro dolore dacci il tuo conforto, per ogni nostro sacrificio il tuo premio e il riposo eterno.