Enrique Angelelli, figlio di emigranti italiani in Argentina, nacque il 17 giugno del 1923 a Cordoba, ma studiò a Roma, dove venne ordinato prete nel 1949. Nel 1951 fece ritorno a Cordoba; qui cominciò a visitare le ”villas miserias”: le baraccopoli argentine della zona e crebbe in lui una forte predilezione per i poveri. Dedito ai giovani fondò un movimento giovanile e divenne assistente della JOC (Gioventù Operaia Cattolica) e della JUC (Gioventù Universitaria Cattolica).
Il 12 dicembre 1960, a sorpresa, papa Giovanni lo designò vescovo ausiliare di Cordoba, operai e povera gente riempirono la cattedrale come mai si era visto prima. Mons. Angelelli, infatti, respirò a pieni polmoni l’aria di rinnovamento della Chiesa durante gli anni del Concilio, a cui partecipò durante le ultime tre sessioni, ma fu poco sostenuto negli ambienti più conservatori, tanto da determinare una sua “destituzione” a cappellano di una congregazione religiosa.
Trascorsi alcuni mesi e nominato il nuovo vescovo di Cordoba, Paolo VI, nel 1968 lo nominò vescovo titolare di La Rioja, nel nord-ovest dell’Argentina, dove orientò il suo servizio pastorale a difesa dei più deboli, parlando con franchezza e denunciando le ingiustizie. Si distinse, infatti, per la sua vicinanza ai lavoratori ed ai contadini, di cui promosse l’organizzazione in cooperative; denunciò l’usura, la droga, le case da gioco e la gestione della prostituzione in mano ai più ricchi e potenti della società “riojana”. Visitò assiduamente le varie comunità, anche le più sperdute, nonostante le continue critiche e opposizioni.
Il 13 giugno 1973, un gruppo di commercianti e proprietari terrieri, fomentati contro di lui a causa del suo sostegno ai minatori e ai manovali agricoli, interruppero la celebrazione della messa da lui celebrata con un lancio di pietre, mentre la radio boicottava la trasmissione delle sue messe in cattedrale. La reazione di mons. Angelelli espresse tutta la sua determinazione: “anche se ci obbligano al silenzio, Cristo parla” disse, mentre dall’ambone si espresse senza mezzi termini: “Non c’è nessuna pagina del Vangelo che comandi di essere stupidi, non abbiamo gli occhi chiusi, né le orecchie tappate…..”
Mentre si faceva sempre più intensa la sua attività a favore dei poveri, spiegava: “Io non posso predicare la rassegnazione. Dio non vuole uomini e donne rassegnati. Quello che vuole Dio sono uomini e donne che lottano pacificamente per la vita, per la libertà, non per finire in una nuova schiavitù.”
Durante la visita “ad limina” del 1974 gli fu consigliato di non tornare in Argentina, perché era a rischio la sua incolumità fisica, ma lui, così determinato, non prese neppure in considerazione la proposta.
Il 18 luglio 1976 ritrovò massacrati e mutilati, i corpi di due dei suoi preti più impegnati e il successivo 4 agosto toccò a lui, anche se gli assassini cercano di camuffare il suo omicidio come incidente stradale.
Dalla sua automobile, spinta in un burrone, sparì una cartellina con importanti documenti, frutto delle sue indagini sull’assassinio dei due preti.Ma il vescovo,prudentemente, ne aveva conservato una copia spedita in Vaticano.
Questi documenti a luglio 2014 sono risultati determinanti per condannare all’ergastolo due alti ufficiali dell’esercito, gli stessi che qualcuno aveva visto sparare il colpo di grazia alla testa del vescovo dopo il simulato incidente. La diocesi ha aperto il processo di beatificazione per mons. Enrique Angelelli, il vescovo che voleva avere “un orecchio al vangelo e un orecchio al popolo e che chiedeva di continuare ad attuare il Concilio e la promozione integrale dei riojanos”.