L'icona rappresenta l'assemblea descritta dal libro dell'Apocalisse di San Giovanni: "Dopo ciò apparve una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani". E la storia del Novecento non è solo quella di qualche cristiano coraggioso, ma quella di un martirio di massa, come scrive Andrea Riccardi nel suo libro "Il secolo del martirio".

L’Icona dei Nuovi Martiri e dei testimoni della fede del XX secolo, dipinta da Renata Sciachì della Comunità di Sant’Egidio, rappresenta la storia dei testimoni del secolo passato alla luce di una riflessione teologica incentrata sul libro dell’Apocalisse. In alto, nell’icona, vi è Cristo in trono, circondato dagli angeli e da una folla di testimoni della fede, vestiti di bianco, che portano palme nelle mani: è l’immagine del libro dell’Apocalisse, al capitolo settimo, quando si legge:

«Dopo ciò, apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. […] Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: “Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?” Gli risposi: “Signore mio tu lo sai” E lui: “Sono coloro passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col Sangue dell’Agnello.»
(Ap. 7, 9. 12-14)

«Attraverso la grande tribolazione»: ecco le parole che si trovano al centro dell’icona e che ne sono la chiave interpretativa. Sotto la scritta vediamo un campo di concentramento, con il filo spinato, che si trasforma in cattedrale: è l’esperienza riportata da molte testimonianze. Cristiani cattolici, evangelici, ortodossi, si ritrovarono insieme nei lager nazisti, nei gulag sovietici, e nella sofferenza comune per il Vangelo elevarono insieme la loro preghiera al Signore; impararono ad amarsi e a sostenersi a vicenda.
In questa cattedrale vi è il Vangelo aperto, con le parole di Gesù riportate dal Vangelo di Giovanni «Tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21a) il crocifisso ed il cero pasquale, simboli della passione, morte e della resurrezione del Signore. A destra e sinistra si vedono come due grandi cortei di testimoni della fede: uno simboleggia l’Oriente cristiano, l’altro l’Occidente. In questi due grandi cortei si riconoscono persone come Dietrich Bonhöffer, il patriarca Tichon della Chiesa ortodossa russa, padre Girotti (domenicano italiano, biblista, morto nel lager di Dachau dove ha a lungo predicato).

 

Continuando verso il basso si notano alcuni edifici distrutti e cristiani che stanno per essere uccisi; è il ricordo del genocidio degli armeni e di molti cristiani orientali, avvenuto nel 1915, in Turchia, rottura di una coabitazione più che millenaria in quella terra.
Si ricordano anche tutti i tentativi di annientamento vero e proprio della presenza cristiana, come quello avvenuto in Albania: si vede un prete con un bambino in mano mentre viene ucciso ( è il ricordo di padre Kurti, condannato a morte nel 1972 solo perché aveva battezzato in segreto un bambino nel campo in cui era detenuto).

 

Nella parte destra dell’icona si vedono una serie di quadri; in essi comprendiamo come nelle storie dei testimoni della fede si ripercorra la passione di Cristo.
La seconda scena partendo dal basso presenta un tribunale che giudica dei vescovi: è l’ingiusto processo a cui tanti testimoni della fede sono stati sottoposti, come Gesù davanti a Pilato.

 

Salendo si incontra un uomo vestito con abiti sgargianti mentre viene battuto da due guardie: è l’umiliazione pubblica che è stata riservata a tanti cristiani prima di venire uccisi, come modo di colpire la loro dignità, screditandoli agli occhi del popolo. Al di sopra, il riquadro mostra una folla che sta per essere fucilata, in una esecuzione pubblica, come è avvenuto in numerosi tornanti della storia del Novecento. Nel primo quadro in basso invece si ricordano i tanti assassinati, coloro la cui vita è stata spezzata improvvisamente.  Si vede un vescovo sull’altare, è mons. Romero, ucciso mentre celebrava l’eucaristia. Si riconoscono, tra gli altri, Mons. Gerardi, don Giuseppe Puglisi, ucciso dalla mafia in Sicilia.

 

A sinistra invece, i riquadri ci ricordano come, nella sofferenza, la vita dei “nuovi martiri” sia testimonianza di amore, più forte dell’odio: al male hanno risposto con il bene. La prima scena offre la visione del Gulag sovietico sulle isole Solovki: si tratta di un antichissimo monastero, trasformato dal regime in in campo di detenzione, che raccoglieva prevalentemente cristiani. Vi si riconoscono due vescovi, uno giovane ed uno anziano, che spingono una carriola: è la rappresentazione di una testimonianza resa da una sopravvissuta che nel suo diario raccontava di due vescovi, uno anziano ed ortodosso, l’altro giovane e cattolico, che si recavano ai durissimi lavori forzati insieme, in modo che il giovane potesse aiutare l’anziano. E’ il segno di cristiani che imparano di nuovo ad amarsi e ad aiutarsi nella sofferenza della persecuzione.

 

Nel quadro superiore, dall’interno di un carcere, romeno, si possono identificare i prigionieri, ciascuno recante nelle mani dei fogli: si tratta di parti di un’unica Bibbia (il cui possesso era vietato dal regolamento carcerario), che gli internati si erano divisi per poterne imparare a memoria una parte e recitarla agli altri, e non perdere così il tesoro preziosissimo della Parola di Dio. Risalendo la narrazione iconica si incontrano cristiani perseguitati che tuttavia non hanno mai cessato di dare da mangiare agli affamati, di curare i malati, di amare il proprio prossimo sofferente, e di comunicare il Vangelo a tutti. Si vede un cristiano che accoglie un uomo vestito con la divisa che, in questa icona, identifica i persecutori: è il segno della disponibilità dei testimoni della fede a perdonare, a confidare nella possibilità per ogni uomo di cambiare il proprio cuore.

 

Nella celebrazione del 12 ottobre, il cardinale Camillo Ruini ricordò che fu per volontà di Giovanni Paolo II che la Basilica di San Bartolomeo divenne “luogo memoriale dei testimoni della fede del XX secolo”.

«Essi – affermava – sono tutti simbolicamente rappresentati in questa magnifica icona, che splende in mezzo a noi e che oggi verrà benedetta. La vita e la morte di questi cristiani contemporanei si innesta sulla radice antica della Chiesa indivisa, qui venerata nel corpo dell’apostolo Bartolomeo e dei santi martiri Marcello ed Esuperanzio, uccisi durante un’ondata di persecuzione nel IV secolo; si intreccia a quella del vescovo Adalberto, morto nell’anno 997, mentre comunicava il Vangelo. E’ una memoria custodita da una comunità viva quale è la Comunità di Sant’Egidio, che, come abbiamo ascoltato, qui si raccoglie nella preghiera e nella fraternità. La vita e la morte di questi cristiani si innestano così in noi tutti e nelle nostre Chiese perché diano frutti degni del Vangelo. Il secolo che ha chiuso il millennio, davvero è tornato a essere un secolo di martiri!».


Nella prima cappella della navata destra della Basilica sono ricordati i testimoni della fede dell’Asia, dell’Oceania e del Medio Oriente; nella cappella successiva si ricordano i testimoni della fede delle Americhe; nell’ultima cappella della navata…

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